The Stargate Sequence: Effetti Speciali Pre-CGI

Come fu girata la famosa scena di 2001: Odissea nello Spazio?

Come riprodurre visivamente un viaggio nello spazio-tempo?

È questo il dilemma che si pone davanti al team incaricato di realizzare gli effetti speciali del film 2001: Odissea nello spazio, nel momento in cui deve girare una delle ultime e più impressionanti sequenze della pellicola.

Stanley Kubrick con Arthur C. Clarke

Il film, diretto da Stanley Kubrick e sceneggiato a quattro mani da Kubrick e dallo scrittore Arthur C. Clarke, non ha certo bisogno di presentazioni, ed in questo articolo si darà per scontato che il lettore ne conosca, almeno a grandi linee, la trama e gli eventi (in caso contrario sarà bene recuperare, magari dedicandogli una serata sul divano!).
È una produzione lunga, laboriosa e costosissima, che conduce però ad uno dei pinnacoli della cinematografia mondiale (e, più prosasticamente, ad incassi notevoli).

Non tutti sanno che la stesura del soggetto e della sceneggiatura del film ha come punto di partenza un racconto breve di Clarke intitolato The Sentinel (La Sentinella), risalente addirittura al 1948, il cui contenuto sarebbe dovuto essere la spina dorsale dell’intero film, ma che in pratica ne diviene l’antefatto: il ritrovamento di un misterioso oggetto (il monolito), deliberatamente sepolto moltissimo tempo prima al di sotto del suolo lunare, da una misteriosa civiltà enormemente avanzata, è infatti solo la scintilla che dà il via alla successiva parte principale della storia, consistente in un turbolento viaggio spaziale con destinazione Giove.

La maggior parte della storia viene dunque architettata durante la produzione del film stesso, così come la stesura del romanzo omonimo, scritto dallo stesso Clarke (ebbene si, il romanzo non è precedente al film come molti credono).
Teniamo presente che l’allunaggio (20/21 Luglio ’69) sarebbe avvenuto più di un’anno dopo l’uscita del film (2 Aprile ’68) e la prima vera foto del pianeta Terra dallo spazio sarebbe stata scattata 4 anni dopo. Se all’equazione aggiungiamo lavorazioni mai tentate prima di allora…beh, inventiva e capacità di problem-solving non dovevano certo mancare ai membri della crew capitanata da Kubrick.

Questo fotogramma del film mostra un primo piano dell’astronauta Dave Bowman (interpretato da Keir Dullea)
Effetti sp…aziali

Douglas Trumbull (Blade Runner, Incontri ravvicinati del terzo tipo, The tree of life etc.) negli anni ’60 è un giovanissimo illustratore che lavora per la Graphic Films, studio che produce filmati ed animazioni istituzionali per la NASA.
Nel 1964 partecipa alla realizzazione del film To the Moon and beyond, proiettato in Cinerama, in occasione della New York World’s Fair, sulla cupola Moon Dome (parte dell’edificio che ospitava l’evento). Ad assistere a questo grandioso spettacolo audio-visivo c’è proprio Stanley Kubrick, che, rimasto estremamente colpito dal suo lavoro, lo vuole al proprio fianco nella realizzazione di “2001”.
Il giovane vola in Inghilterra per una permanenza che sarebbe dovuta durare 9 mesi e che si protrarrà invece per ben 2 anni e mezzo.

La “sequenza dello stargate”

Tra le numerose sfide che Trumbull si trova a dover affrontare, assieme ai suoi colleghi, durante le riprese, in qualità di addetto agli effetti speciali, ce n’è una particolarmente ingaggiante ed interessante: uno dei punti chiave della storia, infatti, vede un astronauta, Dave Bowman (interpretato da Keir Dullea), alle prese con l’attraversamento di un “passaggio” spazio-temporale, inconsapevolmente guidato da una non meglio identificata intelligenza aliena che l’avrebbe condotto in una zona ignota dell’universo. Stiamo parlando della famigerata “Stargate sequence” (come fu in seguito chiamata).

Ebbene, tornando al pratico, come rendere in modo cinematograficamente efficace qualcosa di pazzesco come un viaggio attraverso l’ordito dello spazio-tempo, specie con i mezzi di allora?
Si comincia con la prima ipotesi, di cui rimane testimonianza negli story-board: Bowman avrebbe dovuto individuare una sorta di immenso tunnel rettangolare che, attraversando una delle lune di Giove, e inoltrandosi al suo interno, l’avrebbe condotto in una zona sconosciuta dell’universo. Ma questa opzione viene accantonata perché ritenuta troppo complessa da realizzare.
A questo punto a Trumbull torna utile una tecnica che aveva già usato in precedenza in questo film per realizzare un’illustrazione realistica del pianeta Giove.

La Tecnica dello Slit-Scan

Lo Slit-Scan è una tecnica fotografica conosciuta sin dalla fine dell’800, che si basa sull’utilizzo, all’interno della macchina fotografica, di una superficie opaca dotata di una fessura, posizionata davanti alla pellicola (o equivalenti).
Oltre alle fotografie panoramiche, uno degli usi più comuni che se ne fanno nel ‘900 è quello del photo-finish, ad esempio nelle corse dei cavalli. Con un’unica lunga esposizione ed un movimento rapido della pellicola dietro la fessura, si riescono infatti ad immortalare i passaggi, avvenuti in tempi leggermente diversi, dei vari concorrenti sulla linea d’arrivo, spalmandoli nello spazio della pellicola.

L’uso di questa tecnica a fini artistici arriva a Trumbull attraverso un personaggio genialoide, attivo fin dagli anni ’30 tra arte e tecnologia, rispondente al nome di John Whitney.
I due erano stati colleghi sul set del già citato To the Moon and Beyond (il film grazie al quale Trumbull ha ottenuto il lavoro in “2001”).
John Whitney era un pioniere della motion-graphic ed un dotato inventore di macchine automatizzate con le quali, riprendendo fonti luminose in movimento, creava animazioni incredibili.
Tra le sue operazioni più celebri citiamo, negli anni ’50, la modifica per uso cinematografico di un computer che faceva parte del sistema bellico di tracciamento contraereo M-5, il quale, con gli opportuni adattamenti, gli permetteva di coreografare i movimenti per i suoi film sperimentali. Fu anche tra i primi a lavorare all’animazione digitale collaborando a stretto contatto con la IBM.
Il suo sogno era creare una forma d’arte che fosse una perfetta fusione di immagini e musica.

Ma torniamo a noi. Trumbull decide di usare lo Slit-Scan, alla maniera di Whitney, per creare un effetto immersivo fatto di forme colorate in movimento.
Il colpo di genio, tecnicamente parlando, è quello di traslare il pannello fessurato (Slit) al di fuori della macchina da presa.

Con il benestare del regista, realizza, insieme al resto dello staff, una complessa struttura che funziona più o meno così: in una stanza completamente buia e dipinta di nero, una cinepresa montata su un dolly si sposta avanti e indietro in automatico (grazie ad un macchinario che ne sequenzia i movimenti). Essa si trova di fronte ad un pannello opaco fessurato, posto a sua volta davanti ad un enorme vetro retroilluminato sul quale vengono fatti muovere orizzontalmente una serie di lucidi ricoperti di grafiche colorate (se vi suona complicato…si, lo è anche nella realtà).
Queste grafiche vengono per lo più estrapolate da libri di Optical Art.
Durante l’esposizione di un unico fotogramma, la cinepresa avanza di circa 3 metri e mezzo, mentre le grafiche si spostano lateralmente di circa 25 cm. Per un lato di ogni fotogramma occorre una lavorazione di circa un minuto.
Duplicando specularmente le riprese ottenute, si ha l’effetto prospettico che ci dà l’illusione di essere proiettati verso un indefinito punto di fuga. L’aspetto psichedelico è dovuto al lento spostamento laterale delle grafiche colorate che formano via via pattern sempre diversi.
Questa procedura, già di per sé estremamente lenta ed elaborata, necessitando ovviamente di tutta una serie di tentativi e fallimenti, porta via circa 9 mesi di lavoro al team preposto, che però riesce a raggiungere il risultato voluto.
Per approfondire la tecnica dello slit-scan usata nel film, rimandiamo ad uno scritto originale di Trumbull che descrive dettagliatamente tutto il procedimento.

Ironicamente, dunque, la soluzione della rappresentazione di un viaggio spazio-temporale arriva da una tecnica fotografica nella quale la componente fondamentale di ogni singolo fotogramma è proprio il tempo.
Grazie ad essa (e alla straniante musica di Ligeti) la sequenza assume i connotati astratti ed inediti che ci si aspetta da un non-luogo.
La resa filmica è straordinaria e la sequenza rimane tra le più iconiche della storia del cinema, anche nell’epoca della CGI.

In realtà, durante questo “trip”, appaiono anche immagini ottenute grazie ad altre tecniche.
Alcune forme, che ricordano galassie o creature in stato embrionale, vengono ottenute da Kubrick grazie alla ripresa ravvicinata del gocciolamento di sostanze colorate in un liquido nero contenuto in un grosso barile.
In altri momenti invece ciò che vediamo sono riprese aeree di paesaggi scozzesi (realizzate da Andrew Birkin) e della Monument Valley (realizate da Bob Gaffney): Brian Loftus è il responsabile dell’effetto “alieno” finale, che ottiene manipolando le tre matrici Ciano, Magenta e Giallo, in fase di stampa della pellicola.

In conclusione, ciò che rende eccezionale questo film (e di cui il nostro aneddoto si fa paradigma) è la straordinaria volontà di Kubrick e dei suoi, di innovare al di là di ogni possibile rischio e di arrivare laddove nessuno era mai arrivato prima.
E alla fine, non è proprio quello che, nella storia, fa il nostro Dave Bowman?

“My god…it’s full of stars.”
(D. Bowman)