C’è un momento nello sport che dura un battito di ciglia, un istante capace di raccontare un’intera storia. E c’è chi ha il talento di trasformarlo in immagine: Alessandro Trovati. Fotografo sportivo e pubblicitario, la sua carriera attraversa dodici Olimpiadi, il Tour de France, il Giro d’Italia, e lo ha visto immortalare campioni dello sci, del ciclismo e del nuoto, regalando immagini che respirano adrenalina, fatica e bellezza.
Ma Alessandro porta il suo sguardo anche nel mondo dei grandi brand, come Arena, Colmar e Salomon, firmando scatti pubblicitari dove tecnica e sensibilità visiva si incontrano. Essendo lui stesso uno sportivo, conosce la fatica del gesto e l’emozione del movimento: è forse questo il segreto della sua delicatezza dietro l’obiettivo.
Oggi è Canon Ambassador, fondatore dello Sport Photography Museum a Milano e continua a raccontare lo sport non solo come spettacolo, ma come storia umana, fatta di fragilità e vittorie.
Iniziamo la nostra chiacchierata!
> Alessandro, se chiudi gli occhi e pensi alla tua vita da fotografo, qual è la prima immagine che ti viene in mente?
Il viaggiare e l’osservare.
> Hai immortalato atleti in momenti di gloria, ma anche di fragilità. C’è uno scatto che custodisci come un segreto perché troppo intimo per essere condiviso, oppure uno che hai condiviso e che ancora ti emoziona?
Lo scatto che più mi emoziona, ancor oggi, anche se fatto nel ’98 al Giro d’Italia, è quello di Marco Pantani con la spugna in faccia. Racchiude tutto quello che era Pantani: fragilità, fatica, dolore ed emozione.
> Ti ricordi cosa hai pensato la prima volta in cui ti hanno chiesto di prestare il tuo occhio da fotografo sportivo alla comunicazione visiva di un brand?
Tanta felicità e il senso di avercela fatta. L’aver dimostrato la mia capacità di vedere lo sport in maniera diversa, con un altro occhio, un’altra visione e una nuova tecnica di scatto. Per esempio, l’utilizzo dei teleobiettivi nella moda, cosa che fece un po’ scalpore agli inizi, ma che poi si è rivelata vincente.
> Ho avuto la fortuna di lavorare in diversi shooting con te e ti ho visto lavorare in un modo incredibile: scatti sott’acqua con bombole e fotocamera con lo scafandro, immerso per lungo tempo finché non arrivava l’istante giusto, senza perdere mai la concentrazione. Come mantieni quella pacatezza? Essere uno sportivo ti aiuta?
La tranquillità e la calma sono fondamentali per trasformare le idee e le esigenze di qualcun altro in tue, e la consapevolezza di essere in grado di “farlo” dà la sensazione di avere tutto sotto controllo. L’essere sportivo aiuta molto, specialmente con l’approccio all’atleta che andrai a fotografare: lui si deve fidare di te perché tu sai quello che gli stai chiedendo di fare, e lui lo deve trasformare nel gesto perfetto. Ci deve essere molta complicità.
> Qual è stata l’esperienza più curiosa su un set di shooting pubblicitario?
Durante uno shooting per la collezione estiva di Colmar, eravamo alla fine di cinque giorni estenuanti e di brutto tempo. Non avevamo ancora lo scatto per la campagna, il creativo era disperato, il cliente molto in panico. La situazione era tesa, tutti agitati. Eravamo su una spiaggia in attesa della luce e la modella in acqua, pronta per il mio via, ma la luce non arrivava. Siamo stati lì per ore. Alla fine, per miracolo, è uscito il sole da una nuvola e ha creato una luce “pazzesca”. Ho iniziato a scattare subito e appena ho visto lo scatto ho urlato: “Sì, ce l’abbiamo!”. Tutti si sono raccolti intorno a me per vederlo. Il cliente e il creativo mi hanno baciato sulla testa e poi sono scoppiati a piangere per la tensione e la gioia. Io ero soddisfatto ed esausto. Dopo due minuti, la luce si è “spenta”, ma noi eravamo già via…
> Ricordo te in aeroporto con un mondo intero di attrezzatura. Ti è mai capitato di temere, davanti ai controlli, che qualcosa potesse essere trattenuto?
Succede spesso e si è sempre in ansia. L’attrezzatura è tutto e se ti mancano dei pezzi diventa tutto difficile.
> Se dovessi partire per un lavoro e potessi portare solo 5 oggetti professionali e 3 personali, cosa metteresti in valigia?
Macchina fotografica, obiettivi, Mac, pannelli riflettenti e la mia cinghia portafortuna. Una maglietta a manica lunga blu, braccialetti e un libro.
> Ti immagino nei giorni delle Olimpiadi o di gare importanti, a seguire discretamente gli atleti. Qual è stata, tra tutti quegli scatti, la foto più difficile della tua carriera?
Ce ne sono tante… La più difficile è stata alle Olimpiadi di Pyeongchang 2018: lo scatto di Sofia Goggia nella discesa libera. La gara che tutti aspettavamo, lei era la favorita. Ero dentro un bosco e avevo un’ottima visuale della curva, ma il difficile era che non la vedevo arrivare e avevo un solo riferimento: il cameraman, che si girava tre secondi prima dello scatto. E, soprattutto, ero con un 800 mm, il teleobiettivo più lungo, più pesante e il più difficile che ci sia, da usare solo con un monopiede. Io decisi di usarlo a mano libera per essere più veloce e più “morbido” a seguire l’atleta. Un mio collega di Getty, di fianco a me (eravamo solo in due perché lo scatto era veramente difficile), mi diede del pazzo, ma lo feci e venne uno scatto iconico e tecnicamente perfetto.
> C’è un’immagine che ancora non hai scattato, ma che sogni un giorno di catturare?
Ne ho molte, ma sicuramente quella di fare un “bagno” con dei capidogli o delle orche, vicino a un apneista. Quella di scattare la finale dei 100 metri alle Olimpiadi, invece, l’ho realizzata per ben tre volte!
> Hai sempre l’immagine del professionista sicuro, rapido nel cogliere l’attimo. Ma qual è la tua vulnerabilità, quella che solo chi ti è molto vicino conosce?
Il decidere, il prendere una decisione e non scontentare nessuno. Non sempre è facile.
> Che consiglio daresti al te stesso di inizio carriera? Magari può ispirare qualche giovane che ti legge.
Di laurearmi in filosofia. La cultura generale è fondamentale per trovare nuove idee, nuove ispirazioni e conoscenza. E poi, il consiglio più importante, è quello di rimanere umile, di non pensare mai di essere arrivato. Devi sempre approcciare un ‘assignment’ come se fosse il primo e non come il fotografo famoso e arrivato, perché è lì che sbagli. Chi mi conosce bene sa che sono ancora così…
> Grazie di cuore Alessandro, ti auguro di scattare quella foto prima o poi!
Questo è… ”Essere di Mestiere”, la rubrica di Aries Comunica pensata per immergersi nell’essenza stessa e umana della professione. In questo spazio, esploro il mondo delle arti comunicative, attraverso interviste ai professionisti che gravitano nell’universo creativo e della comunicazione.